Il canale dedicato alla cultura dei popoli norreni
Introduzione
Per approfondire la cultura dei popoli norreni occorre necessariamente allargare il campo d’azione all’intera regione scandinava, in tutti i suoi variegate sfaccettature, come risultato di molteplici vicende storiche e fattori la cui interconnessione si è sviluppata in un percorso durato secoli.
Parlando di cultura scandinava, solitamente ci si riferisce ad elementi accomunati da un patrimonio culturale attraverso il ramo germanico, di matrice indoeuropea, escludendo di fatto elementi importanti appartenenti al ceppo finnico.
Anche la visione prettamente geografica può essere limitante in ottica di una più ampia considerazione delle matrici culturali scandinave, se si pensa alla Danimarca, alla regione dello Jutland, la parte più settentrionale della Germania o alle regioni più periferiche come l’Islanda o le Isole Svalbard.
All’interno dello stesso territorio scandinavo ovviamente non mancano differenze anche considerevoli tra le diverse aree: la parte settentrionale della Danimarca presenta una maggiore affinità con il sud della Svezia e delle Norvegia, soprattutto nelle zone costiere, mentre i rispettivi entroterra presentano una maggiore omogeneità con gli aspetti sociali ed economici della Finlandia.
Allo stesso tempo, il fattore geografico ha permesso lo sviluppo di un maggiore senso identitario legato ad un forte grado di omogeneità linguistica ed etnica, derivanti dalla posizione più periferiche di questi territori, rispetto al contento generale europeo.
Per approfondire la cultura dei popoli norreni occorre necessariamente allargare il campo d’azione all’intera regione scandinava, in tutti i suoi variegate sfaccettature, come risultato di molteplici vicende storiche e fattori la cui interconnessione si è sviluppata in un percorso durato secoli.
Parlando di cultura scandinava, solitamente ci si riferisce ad elementi accomunati da un patrimonio culturale attraverso il ramo germanico, di matrice indoeuropea, escludendo di fatto elementi importanti appartenenti al ceppo finnico.
Anche la visione prettamente geografica può essere limitante in ottica di una più ampia considerazione delle matrici culturali scandinave, se si pensa alla Danimarca, alla regione dello Jutland, la parte più settentrionale della Germania o alle regioni più periferiche come l’Islanda o le Isole Svalbard.
All’interno dello stesso territorio scandinavo ovviamente non mancano differenze anche considerevoli tra le diverse aree: la parte settentrionale della Danimarca presenta una maggiore affinità con il sud della Svezia e delle Norvegia, soprattutto nelle zone costiere, mentre i rispettivi entroterra presentano una maggiore omogeneità con gli aspetti sociali ed economici della Finlandia.
Allo stesso tempo, il fattore geografico ha permesso lo sviluppo di un maggiore senso identitario legato ad un forte grado di omogeneità linguistica ed etnica, derivanti dalla posizione più periferiche di questi territori, rispetto al contento generale europeo.
L’antropizzazione delle Regioni del Nord Europa
È difficile determinare con esattezza la periodizzazione storica delle popolazioni, in quanto essa varia a seconda dei contesti geografici del pianeta.
Le prime tracce di antropizzazione dei territori scandinavi risalgono al XIII Secolo a.C. – collocandosi nella fase finale del Paleolitico – e si estende tra il nord della Germania, Belgio, Paesi Bassi e Danimarca, avvalorando la tesi che già attorno al 13.000 a.C. in molti dei territori dell’attuale Scandinavia si svilupparono le prime forme di vegetazione in numerose aree totalmente sgombre di ghiacci. Questi primi insediamenti vengono indicati con il termine di Cultura di Amburgo, dal luogo dove sono stata trovata la concentrazione maggiore dei reperti più significativi. Le successive fasi preistoriche, si possono scandire secondo quanto segue:
Mesolitico (9500 a.C. – 4100 a.C.)
È difficile determinare con esattezza la periodizzazione storica delle popolazioni, in quanto essa varia a seconda dei contesti geografici del pianeta.
Le prime tracce di antropizzazione dei territori scandinavi risalgono al XIII Secolo a.C. – collocandosi nella fase finale del Paleolitico – e si estende tra il nord della Germania, Belgio, Paesi Bassi e Danimarca, avvalorando la tesi che già attorno al 13.000 a.C. in molti dei territori dell’attuale Scandinavia si svilupparono le prime forme di vegetazione in numerose aree totalmente sgombre di ghiacci. Questi primi insediamenti vengono indicati con il termine di Cultura di Amburgo, dal luogo dove sono stata trovata la concentrazione maggiore dei reperti più significativi. Le successive fasi preistoriche, si possono scandire secondo quanto segue:
Mesolitico (9500 a.C. – 4100 a.C.)
I Fase (9500 a.C. – 6800 a.C.) – Antropizzazione della Danimarca, Svezia meridionale e centrale, Regione di Gotland
Passaggio della flora e della fauna tipica della tundra a quella della foresta
Attività di caccia e pesca, raccolta di vegetali commestibili
Attività di caccia e pesca, raccolta di vegetali commestibili
Cultura di Fosna, nell’arcipelago di Kristiansund, lungo la costa delle regioni di Møre e RomsdalII Fase (6800 a.C. – 5500 a.C.) – Antropizzazione Norvegia e aree dei fiordi
Cultura di Komsa, nella regione di Finnmark, fino alla Penisola di Kola.
III Fase (5500 a.C. – 4100 a.C.) – Antropizzazione entroterra norvegese, danese e svedeseCultura di Nøstvet, all’interno del Bunnefjorden, a sud-est di Oslo
Cultura di Lihult, nella regione svedese di Bohuslän
Cultura di Ertebølle, sul Limfjorden, nella parte più a nord della regione dello Jutland
Neolitico (4100 a.C. – 2300 a.C.)
Accanto ai sistemi tradizionali della caccia e della pesca, compaiono nuove attività per il sostentamento, legate all’allevamento e all’agricoltura.
Si registrano i primi contatti tra le popolazioni scandinave con le culture delle aree centrali dell’Europa, tra Belgio, Germania, Polonia, fino più a sud, con le regioni della Svizzera e dell’Austria, fino alla Bulgaria.
La prima cultura contadina scandinava risale alla Danimarca, estendendosi fino all’Europa continentale, tra il 3900 e il 3800 a.C.
Attorno al 3500 a.C. risalgono le prime tracce di aratura del terreno, e già durante il III millennio a.C. fa la comparsa il carro con le ruote
Tra il 2800 e il 2700 a.C. le prime forme di agricoltura sono diffuse in Danimarca, nelle regioni centro-meridionali della Svezia, lungo le coste interne norvegesi e del Baltico.
Dal punto di vista culturale, si affermano gli aspetti legati alla sacralità, legati alla realizzazione dei primi monumenti funerari, elemento utile per comprendere l’organizzazione sociale delle comunità del tempo.
In questo periodo della preistoria scandinava, si definiscono i modelli di comunità organizzate secondo concezioni di vita differenti, collettiva e individualistica, dualismo che verrà proiettato nella cultura religiosa norrena, tra le divinità dei Vani e degli Asi (pag. 36).
La zona di contatto tra le popolazioni scandinave e quelle provenienti dall’Europa continentale è l’area compresa tra le regioni più settentrionali della Germania, lo Jutland, la Danimarca e le regioni meridionali di Svezia e Norvegia. In quest’areai vengono fatti risalire i primi nuclei di popolazioni indicate con il termine Germani del Nord, dove, tra le varie istanze e modelli culturali, si determina il prevalere di idiomi di matrice indoeuropea.
La Protostoria (l’Età dei metalli: rame, bronzo, ferro)
Durante questa fase di transizione verso l’Età Antica (comunemente fatta coincidere con l’arco temporale a partire dall’invenzione della scrittura alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, nel 476 d.C.) si sono recuperate numerose testimonianze di scambi commerciali con le aree sud-orientali del continente europeo.
A differenza dell’età del rame, che nella Scandinavia si colloca tra il 2300 e il 1700 a.C., l’età del bronzo, che protrae fino al 500 a.C., è notevolmente più ricca di significativi reperti di pregevole manifattura, molto spesso trovati in luoghi di culto, a conferma del loro utilizzo come oggetti di decorazioni, piuttosto che essere impiegati per le attività quotidiane.
Un altro elemento di notevole rilevanza è l’arte rupestre, le cui incisioni su pietra e le raffigurazioni sulle pareti di roccia nel nord Europa vantano una lunghissima tradizione e un’ottima qualità.
I soggetti rappresentati in questa forma di arte antica sono soventemente simboli che in qualche modo richiamano gli aspetti della vita in comunità, ma anche elementi legati a culti religiosi o magici, determinandone un carattere indiscutibilmente culturale e rituale.
La crisi nell’approvvigionamento del metallo introduce la successiva età del ferro, che in Scandinavia viene solitamente stabilita attorno al 500 a.C.
Questa epoca si caratterizza soprattutto per i primi flussi migratori in diverse direzioni, verso le regioni dell’Europa continentale, approcciando all’influenza culturale delle popolazioni celtiche.
Gli studiosi suddividono l’età del ferro scandinava in differenti fasi, verosimilmente anche in funzione dei ritrovamenti archeologici: l’età del ferro celtica o preromana (500 a.C. – Anno 0), età del ferro romana (Anno 0 - 400 d.C.), età delle migrazioni (400 d.C – 550 d.C) ed età dei Merovingi (550 d.C. – 800 d. C.) .
Le inquietudini dell’età del ferro, dovute anche ai cambiamenti climatici e alle conseguenti difficoltà per le attività di sostentamento, suggeriscono che molti prodotti legati all’agricoltura, alla caccia e alla pesca, ma anche ad altre attività della vita quotidiana, siano frutto di intensi scambi commerciali tra le diverse popolazioni del continente europeo, implicando profonde trasformazioni nelle stesse comunità dell’epoca.
Accanto ai sistemi tradizionali della caccia e della pesca, compaiono nuove attività per il sostentamento, legate all’allevamento e all’agricoltura.
Si registrano i primi contatti tra le popolazioni scandinave con le culture delle aree centrali dell’Europa, tra Belgio, Germania, Polonia, fino più a sud, con le regioni della Svizzera e dell’Austria, fino alla Bulgaria.
La prima cultura contadina scandinava risale alla Danimarca, estendendosi fino all’Europa continentale, tra il 3900 e il 3800 a.C.
Attorno al 3500 a.C. risalgono le prime tracce di aratura del terreno, e già durante il III millennio a.C. fa la comparsa il carro con le ruote
Tra il 2800 e il 2700 a.C. le prime forme di agricoltura sono diffuse in Danimarca, nelle regioni centro-meridionali della Svezia, lungo le coste interne norvegesi e del Baltico.
Dal punto di vista culturale, si affermano gli aspetti legati alla sacralità, legati alla realizzazione dei primi monumenti funerari, elemento utile per comprendere l’organizzazione sociale delle comunità del tempo.
In questo periodo della preistoria scandinava, si definiscono i modelli di comunità organizzate secondo concezioni di vita differenti, collettiva e individualistica, dualismo che verrà proiettato nella cultura religiosa norrena, tra le divinità dei Vani e degli Asi (pag. 36).
La zona di contatto tra le popolazioni scandinave e quelle provenienti dall’Europa continentale è l’area compresa tra le regioni più settentrionali della Germania, lo Jutland, la Danimarca e le regioni meridionali di Svezia e Norvegia. In quest’areai vengono fatti risalire i primi nuclei di popolazioni indicate con il termine Germani del Nord, dove, tra le varie istanze e modelli culturali, si determina il prevalere di idiomi di matrice indoeuropea.
La Protostoria (l’Età dei metalli: rame, bronzo, ferro)
Durante questa fase di transizione verso l’Età Antica (comunemente fatta coincidere con l’arco temporale a partire dall’invenzione della scrittura alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, nel 476 d.C.) si sono recuperate numerose testimonianze di scambi commerciali con le aree sud-orientali del continente europeo.
A differenza dell’età del rame, che nella Scandinavia si colloca tra il 2300 e il 1700 a.C., l’età del bronzo, che protrae fino al 500 a.C., è notevolmente più ricca di significativi reperti di pregevole manifattura, molto spesso trovati in luoghi di culto, a conferma del loro utilizzo come oggetti di decorazioni, piuttosto che essere impiegati per le attività quotidiane.
Un altro elemento di notevole rilevanza è l’arte rupestre, le cui incisioni su pietra e le raffigurazioni sulle pareti di roccia nel nord Europa vantano una lunghissima tradizione e un’ottima qualità.
I soggetti rappresentati in questa forma di arte antica sono soventemente simboli che in qualche modo richiamano gli aspetti della vita in comunità, ma anche elementi legati a culti religiosi o magici, determinandone un carattere indiscutibilmente culturale e rituale.
La crisi nell’approvvigionamento del metallo introduce la successiva età del ferro, che in Scandinavia viene solitamente stabilita attorno al 500 a.C.
Questa epoca si caratterizza soprattutto per i primi flussi migratori in diverse direzioni, verso le regioni dell’Europa continentale, approcciando all’influenza culturale delle popolazioni celtiche.
Gli studiosi suddividono l’età del ferro scandinava in differenti fasi, verosimilmente anche in funzione dei ritrovamenti archeologici: l’età del ferro celtica o preromana (500 a.C. – Anno 0), età del ferro romana (Anno 0 - 400 d.C.), età delle migrazioni (400 d.C – 550 d.C) ed età dei Merovingi (550 d.C. – 800 d. C.) .
Le inquietudini dell’età del ferro, dovute anche ai cambiamenti climatici e alle conseguenti difficoltà per le attività di sostentamento, suggeriscono che molti prodotti legati all’agricoltura, alla caccia e alla pesca, ma anche ad altre attività della vita quotidiana, siano frutto di intensi scambi commerciali tra le diverse popolazioni del continente europeo, implicando profonde trasformazioni nelle stesse comunità dell’epoca.
I popoli del Nord
Proprio dagli intensi flussi migratori verso il cuore dell’Europa, gli studiosi fanno risalire il termine Germani, ad un idioma generico di origine gallica, composto dalla radice ger (vicini) e la parola mani (uomini), per indicare le tribù migranti verso le loro terre.
La mancanza di testimonianze scritte fino al II e III secolo d.C. rende più complicato poter ridisegnare una mappatura delle diverse etnie e tribù di stirpe nordica nei territori dell’Europa centrale.
Le interpretazioni e ricostruzioni storiche fondate principalmente su ritrovamenti archeologici, generano teorie e linee di pensiero a volte discordanti tra loro.
Le fonti primarie a tal riguardo si trovano negli scritti di autori classici, tra cui spiccano il De origine et situ Germanorum di soprattutto Publio Cornelio Tacito, che descrive le tribù germaniche che vivevano fuori i confini dell’Impero Romano, il De bello Gallico, di Gaio Giulio Cesare.
In base alla etnografia classica più comune, si tende a suddividere le popolazioni germaniche provenienti dalla Scandinavia, in due grandi macrogruppi, in relazione al flusso migratorio che ne ha delineato l’espansione:
Proprio dagli intensi flussi migratori verso il cuore dell’Europa, gli studiosi fanno risalire il termine Germani, ad un idioma generico di origine gallica, composto dalla radice ger (vicini) e la parola mani (uomini), per indicare le tribù migranti verso le loro terre.
La mancanza di testimonianze scritte fino al II e III secolo d.C. rende più complicato poter ridisegnare una mappatura delle diverse etnie e tribù di stirpe nordica nei territori dell’Europa centrale.
Le interpretazioni e ricostruzioni storiche fondate principalmente su ritrovamenti archeologici, generano teorie e linee di pensiero a volte discordanti tra loro.
Le fonti primarie a tal riguardo si trovano negli scritti di autori classici, tra cui spiccano il De origine et situ Germanorum di soprattutto Publio Cornelio Tacito, che descrive le tribù germaniche che vivevano fuori i confini dell’Impero Romano, il De bello Gallico, di Gaio Giulio Cesare.
In base alla etnografia classica più comune, si tende a suddividere le popolazioni germaniche provenienti dalla Scandinavia, in due grandi macrogruppi, in relazione al flusso migratorio che ne ha delineato l’espansione:
• ad est, verso l’odierna Repubblica Ceca, Polonia e i Paesi Baltici, migrarono numerose popolazioni, tra cui Burgundi, Goti (a loro volta suddivisi in varie etnie), Vandali, Eruli e Longobardi• sul versante centro occidentale altri gruppi si insediarono lungo le coste del Mare del Nord, o più internamente verso il bacino del Reno e dell’Elba, tra cui Frisi, Teutoni, Angli, Sassoni, Juti, Franchi o verso il Danubio, i gruppi degli Svevi, Marcomanni, e Alemanni.
Altre popolazioni scandinave continuarono a popolare le terre d’origine, tra cui i Dani dai quali prende il nome la Danimarca, o gli Svear, antenati degli attuali svedesi.
Anticamente, queste popolazioni sono state indicate con l’idioma generico Norreni, in lingua antica norðrœnn, il cui suffisso œnn fa riferimento alla provenienza dal Nord (Scandinavia). Termine che durante il medioevo fu latinizzato in Normanni, mantenendo l’antico significato di “Uomini del Nord”.
Anticamente, queste popolazioni sono state indicate con l’idioma generico Norreni, in lingua antica norðrœnn, il cui suffisso œnn fa riferimento alla provenienza dal Nord (Scandinavia). Termine che durante il medioevo fu latinizzato in Normanni, mantenendo l’antico significato di “Uomini del Nord”.
L’epoca vichinga (800 – 1066 d.C.)
Sul finire di quella che viene indicata come Età del Ferro, nonostante nella società scandinava fosse evidente la tendenza di costituire centri di potere solidi, gestiti dall’aristocrazia guerriera o da personaggi legati a dinastie di forte rilevanza sociale, la comunità scandinava restava ancorata ad una struttura organizzativa di tipo tribale, nell’ambito della quale i legami familiari costituivano il collante principale per la determinazione dei rapporti interpersonali all’interno della stessa comunità.
Attorno al concetto di Sippe (Stirpe) si fonda il nucleo principale delle grandi famiglie che costituiscono l’elemento cardine per la creazione di entità territoriali di importante rilevanza geografica, fino alla costituzione di veri e propri nuclei di Stato.
Nel tempo, la dicotomia tra i canoni della società contadina, dedita ad un modello di organizzazione sociale più tradizionale e stanziale e di contro il modus vivendi vichingo più individualista e indirizzato verso la realizzazione delle proprie aspirazioni, ha fatto sì che agli occhi delle altre popolazioni, fossero proprio i vichinghi, visti come un popolo di guerrieri, pirati e predoni, gli unici rappresentanti dei popoli norreni.
Ciò non significa che queste popolazioni non fossero organizzate tra loro in comunità regolamentate da un proprio sistema di leggi e di accordi spesso di natura commerciale.
Il modello vichingo, di così rilevante importanza per la società scandinava, può essere riconducibile ad una serie di fattori che, presi nel loro insieme, posso in qualche modo spiegare il fenomeno delle migrazioni vichinghe e delle relative imprese al di fuori dei propri confini, tra cui soprattutto l’esigenza di trovare nuovi territori, ricchi di risorse per la popolazione e la necessità di incrementare lo sviluppo del commercio tra la Scandinavia e gli altri Paesi.
Per quanto già in passato i flussi migratori dal Nord-Europa verso le aree continentali avevamo delineato un notevole processo di integrazione tra le diverse popolazioni, le nuove ondate migratorie tra la fine dell’VIII Sec. D.C. e gli inizi dell’ XI Secolo ebbero un impatto assai più importante sia per la comunità norrena, sia per i Paesi di destinazione.
Inizialmente si trattava di vere e proprie incursioni, soprattutto verso occidente, in Inghilterra, dove l’8 giugno 793 ebbe luogo l’assalto al monastero di Lindisfarne lungo la costa del Northumberland e due anni più tardi al monastero di Lambey, nei pressi di Dublino, in Irlanda.
Negli anni successivi nuovi flussi migratori a carattere stanziale provenienti dalla Norvegia e dalla Danimarca si espansero verso gli arcipelaghi delle Shetland e delle Orcadi e in altri territori della Gran Bretagna, dell’Irlanda e più a sud verso la Francia. Proprio in territorio francese, nell’anno 911, il sovrano Carlo Il Semplice stipulò con il capo vichingo Rollone il trattato di St. Clairsur-Epte, tramite il quale concedeva agli uomini del nord (Normanni) un vasto territorio che per l’appunto prese il nome di Normandia, in cambio della loro conversione al cristianesimo.
Sul finire di quella che viene indicata come Età del Ferro, nonostante nella società scandinava fosse evidente la tendenza di costituire centri di potere solidi, gestiti dall’aristocrazia guerriera o da personaggi legati a dinastie di forte rilevanza sociale, la comunità scandinava restava ancorata ad una struttura organizzativa di tipo tribale, nell’ambito della quale i legami familiari costituivano il collante principale per la determinazione dei rapporti interpersonali all’interno della stessa comunità.
Attorno al concetto di Sippe (Stirpe) si fonda il nucleo principale delle grandi famiglie che costituiscono l’elemento cardine per la creazione di entità territoriali di importante rilevanza geografica, fino alla costituzione di veri e propri nuclei di Stato.
Nel tempo, la dicotomia tra i canoni della società contadina, dedita ad un modello di organizzazione sociale più tradizionale e stanziale e di contro il modus vivendi vichingo più individualista e indirizzato verso la realizzazione delle proprie aspirazioni, ha fatto sì che agli occhi delle altre popolazioni, fossero proprio i vichinghi, visti come un popolo di guerrieri, pirati e predoni, gli unici rappresentanti dei popoli norreni.
Ciò non significa che queste popolazioni non fossero organizzate tra loro in comunità regolamentate da un proprio sistema di leggi e di accordi spesso di natura commerciale.
Il modello vichingo, di così rilevante importanza per la società scandinava, può essere riconducibile ad una serie di fattori che, presi nel loro insieme, posso in qualche modo spiegare il fenomeno delle migrazioni vichinghe e delle relative imprese al di fuori dei propri confini, tra cui soprattutto l’esigenza di trovare nuovi territori, ricchi di risorse per la popolazione e la necessità di incrementare lo sviluppo del commercio tra la Scandinavia e gli altri Paesi.
Per quanto già in passato i flussi migratori dal Nord-Europa verso le aree continentali avevamo delineato un notevole processo di integrazione tra le diverse popolazioni, le nuove ondate migratorie tra la fine dell’VIII Sec. D.C. e gli inizi dell’ XI Secolo ebbero un impatto assai più importante sia per la comunità norrena, sia per i Paesi di destinazione.
Inizialmente si trattava di vere e proprie incursioni, soprattutto verso occidente, in Inghilterra, dove l’8 giugno 793 ebbe luogo l’assalto al monastero di Lindisfarne lungo la costa del Northumberland e due anni più tardi al monastero di Lambey, nei pressi di Dublino, in Irlanda.
Negli anni successivi nuovi flussi migratori a carattere stanziale provenienti dalla Norvegia e dalla Danimarca si espansero verso gli arcipelaghi delle Shetland e delle Orcadi e in altri territori della Gran Bretagna, dell’Irlanda e più a sud verso la Francia. Proprio in territorio francese, nell’anno 911, il sovrano Carlo Il Semplice stipulò con il capo vichingo Rollone il trattato di St. Clairsur-Epte, tramite il quale concedeva agli uomini del nord (Normanni) un vasto territorio che per l’appunto prese il nome di Normandia, in cambio della loro conversione al cristianesimo.
Verso est, invece, le migrazioni vichinghe, di origine prevalentemente svedese e in tono minore dalla Norvegia e dalla Danimarca, ebbero una connotazione maggiormente commerciale rispetto agli aspetti anche militari che avevano contraddistinto le incursioni sul fronte britannico ed entrarono in contatto con tribù di etnia finnica e baltica, fino a spingersi nelle aree più interne, dove le tribù pagane li denominarono Rus’ da cui derivò il toponimo Russia.
La nascita delle nazioni nordiche
Nei Paesi scandinavi, le prime forme di potere centralizzato si erano costituite già in epoca merovingia (tra il 550 e l’800 d.C.), ma l’evoluzione che portò alla nascita di veri e propri Stati si evidenzia durante il periodo delle migrazioni vichinghe. Questo processo di cambiamento si sviluppava in una struttura sociale ancora di stampo tribale, in cui i sovrani erano sostanzialmente semplici figure eminenti all’interno della comunità, il cui compito era prevalentemente quello di gestire il bene comune.
Durante l’epoca vichinga, le popolazioni nordiche non avevano ancora sviluppato una cognizione della propria appartenenza ad un determinato Stato, danese, svedese o norvegese, ma le comunità erano fondate su legami derivati da intrecci di interessi economici o dinastici, con precisi scopi politici.
Un elemento fondamentale per la costituzione dei nuovi Stati fu il ruolo che esercitarono le Assemblee, quali antico strumento di governo, mutuato dalle comunità germaniche. Il potere che esercitavano tali assemblee era talmente radicato da creare sempre più spesso contrasti con il potete centrale dei sovrani, sfociando in forme di insubordinazione sempre più destabilizzanti per gli equilibri delle comunità locali.
Il primo nucleo di organizzazione statale si è registrato in Danimarca, la cui influenza fu tale da far sentire la propria autorità fino alle regioni meridionali della penisola scandinava.
In Svezia, i primi centri di potere si erano già consolidati nei secoli precedenti alle migrazioni vichinghe, in virtù della presenza di aree particolarmente ricche di risorse economiche e commerciali.
In Norvegia, invece, rispetto agli altri Paesi, la popolazione tendeva a mantenere un’organizzazione in comunità tribali o in piccoli regni a causa della conformità geografica del territorio e alla varietà delle risorse disponibili.
La nascita dello Stato norvegese risale alla seconda metà del IX secolo, a seguito della battaglia di Hafrsfjorden, attorno all’anno 890, quando le Shetland, le Orcadi e alcune regioni svedesi vennero annesse al nuovo Regno di Norvegia.
Nei Paesi scandinavi, le prime forme di potere centralizzato si erano costituite già in epoca merovingia (tra il 550 e l’800 d.C.), ma l’evoluzione che portò alla nascita di veri e propri Stati si evidenzia durante il periodo delle migrazioni vichinghe. Questo processo di cambiamento si sviluppava in una struttura sociale ancora di stampo tribale, in cui i sovrani erano sostanzialmente semplici figure eminenti all’interno della comunità, il cui compito era prevalentemente quello di gestire il bene comune.
Durante l’epoca vichinga, le popolazioni nordiche non avevano ancora sviluppato una cognizione della propria appartenenza ad un determinato Stato, danese, svedese o norvegese, ma le comunità erano fondate su legami derivati da intrecci di interessi economici o dinastici, con precisi scopi politici.
Un elemento fondamentale per la costituzione dei nuovi Stati fu il ruolo che esercitarono le Assemblee, quali antico strumento di governo, mutuato dalle comunità germaniche. Il potere che esercitavano tali assemblee era talmente radicato da creare sempre più spesso contrasti con il potete centrale dei sovrani, sfociando in forme di insubordinazione sempre più destabilizzanti per gli equilibri delle comunità locali.
Il primo nucleo di organizzazione statale si è registrato in Danimarca, la cui influenza fu tale da far sentire la propria autorità fino alle regioni meridionali della penisola scandinava.
In Svezia, i primi centri di potere si erano già consolidati nei secoli precedenti alle migrazioni vichinghe, in virtù della presenza di aree particolarmente ricche di risorse economiche e commerciali.
In Norvegia, invece, rispetto agli altri Paesi, la popolazione tendeva a mantenere un’organizzazione in comunità tribali o in piccoli regni a causa della conformità geografica del territorio e alla varietà delle risorse disponibili.
La nascita dello Stato norvegese risale alla seconda metà del IX secolo, a seguito della battaglia di Hafrsfjorden, attorno all’anno 890, quando le Shetland, le Orcadi e alcune regioni svedesi vennero annesse al nuovo Regno di Norvegia.
Viaggio a Nord Ovest
Sul fronte occidentale, Irlanda, Inghilterra e Scozia non furono le uniche mete delle migrazioni vichinghe. Le Isole Faroer nell’Atlantico furono un’altra destinazione che fu presto colonizzata dalle popolazioni scandinave, fino all’Islanda e alle regioni impervie della Groenlandia.
Il processo di colonizzazione dell’Islanda, durante il IX secolo d.C., va considerato in un’ottica completamente diversa rispetto ai flussi migratori avvenuto verso le isole della Gran Bretagna o le zone interne del continente europeo, in quanto la motivazione principale non dipendeva più da questioni di natura economica o commerciale, né tanto più era spinta dalla necessità di trovare nuove terre ricche di risorse naturali. La maggior parte dei coloni che si spinsero fino a quella che fu chiamata Terra dei Ghiacci (Islanda), erano di norvegesi che lasciavano la patria di origine per ragioni politiche e sociali, come ribellione al nuovo Regno in madre patria.
L’Islanda, che si presentava come un territorio con le giuste condizioni per l’allevamento del bestiame, fu da subito un approdo sicuro per coloro che cercavano una sistemazione che potesse garantire una qualità di vita migliore e soprattutto indipendente.
Verso la fine del IX secolo, inoltre, i flussi migratori dalla Penisola Scandinava, soprattutto dalla Norvegia, si spinsero ulteriormente ad ovest, verso la Groenlandia e le zone del nord-est del Canada. Le fonti relative a queste migrazioni provengono principalmente dalla Saga di Eirik il Rosso e dalla Saga dei Groenlandesi, anche se si tratta di testi che divergono fra loro in parecchi punti. La certezza relativa a questi nuovi spostamenti sta nel fatto che attorno all’anno 1000 la prima spedizione parti proprio dalla Groenlandia e vide i primi insediamenti vichinghi nel continente americano, nella regione di Terranova, dove sono stati individuati i siti archeologici di L’Anse Aux Meadows.
Queste nuove terre furono denominate in vari modi dai coloni scandinavi, in relazione alla loro natura o morfologia, tra cui Markland (Terra delle foreste, probabilmente la Regione del Labrador) e Vinland (Terra del vino) e furono metà delle migrazioni scandinave fino a circa la metà del XIV Secolo, quando la difficoltà delle vie di comunicazioni e in alcuni casi l’ostilità delle popolazioni native indigene, ridussero sensibilmente l’intensità dei flussi migratori.
Sul fronte occidentale, Irlanda, Inghilterra e Scozia non furono le uniche mete delle migrazioni vichinghe. Le Isole Faroer nell’Atlantico furono un’altra destinazione che fu presto colonizzata dalle popolazioni scandinave, fino all’Islanda e alle regioni impervie della Groenlandia.
Il processo di colonizzazione dell’Islanda, durante il IX secolo d.C., va considerato in un’ottica completamente diversa rispetto ai flussi migratori avvenuto verso le isole della Gran Bretagna o le zone interne del continente europeo, in quanto la motivazione principale non dipendeva più da questioni di natura economica o commerciale, né tanto più era spinta dalla necessità di trovare nuove terre ricche di risorse naturali. La maggior parte dei coloni che si spinsero fino a quella che fu chiamata Terra dei Ghiacci (Islanda), erano di norvegesi che lasciavano la patria di origine per ragioni politiche e sociali, come ribellione al nuovo Regno in madre patria.
L’Islanda, che si presentava come un territorio con le giuste condizioni per l’allevamento del bestiame, fu da subito un approdo sicuro per coloro che cercavano una sistemazione che potesse garantire una qualità di vita migliore e soprattutto indipendente.
Verso la fine del IX secolo, inoltre, i flussi migratori dalla Penisola Scandinava, soprattutto dalla Norvegia, si spinsero ulteriormente ad ovest, verso la Groenlandia e le zone del nord-est del Canada. Le fonti relative a queste migrazioni provengono principalmente dalla Saga di Eirik il Rosso e dalla Saga dei Groenlandesi, anche se si tratta di testi che divergono fra loro in parecchi punti. La certezza relativa a questi nuovi spostamenti sta nel fatto che attorno all’anno 1000 la prima spedizione parti proprio dalla Groenlandia e vide i primi insediamenti vichinghi nel continente americano, nella regione di Terranova, dove sono stati individuati i siti archeologici di L’Anse Aux Meadows.
Queste nuove terre furono denominate in vari modi dai coloni scandinavi, in relazione alla loro natura o morfologia, tra cui Markland (Terra delle foreste, probabilmente la Regione del Labrador) e Vinland (Terra del vino) e furono metà delle migrazioni scandinave fino a circa la metà del XIV Secolo, quando la difficoltà delle vie di comunicazioni e in alcuni casi l’ostilità delle popolazioni native indigene, ridussero sensibilmente l’intensità dei flussi migratori.
La sfera religiosa
La tradizione religiosa dei popoli nordici affondava le proprie radici nel neolitico, fino a consolidarsi nell’età del bronzo prima e del ferro poi. I cambiamenti radicali nella cultura religiosa hanno accompagnato il passaggio avvenuto nel corso dei secoli, da una comunità la cui economia di sussistenza era basata sulla caccia e sulla raccolta ad una società organizzata il cui sostentamento proveniva dalle attività di allevamento e di agricoltura, con il conseguente rapporto con le divinità del pantheon norreno.
Alcune testimonianze del paganesimo nordico sono state riportate nelle opere di Tacito, già secoli prima dell’epoca vichinga, tanto da pensare che alcuni elementi della antica religione nordica trovino riscontro nel misticismo vichingo.
La religione pagana delle popolazioni scandinave risalente all’epoca vichinga, pertanto, può essere considerata il risultato di un processo di maturazione sviluppatosi nelle epoche precedenti, tanto che le divinità iniziano a delinearsi secondo più precise rappresentazioni iconografiche, con i debiti riscontri nelle opere storiografiche successive. Così come avviene per le pietre di Gotland, risalenti all’VIII e IX Secolo, le quali anticipano le rappresentazioni mitologiche che sono state riprodotte nei testi scritti, nei secoli successivi.
Anche dalle isole britanniche provengono importanti raffigurazioni con inequivocabili riferimenti alla religione degli “uomini del nord” e al loro patrimonio di tradizioni.
Tuttavia, è un dato di fatto che la ricostruzione della religione pagana dei popoli norreni deriva prevalentemente dai testi scritti in epoca cristiana e nei quali l’aspetto letterario riveste un’importanza tale da non garantire un corretto confronto tra i contenuti in essi riportati e quanto può essere dedotto, invece, dagli esami dei reperti archeologici e iconografici.
A tal proposito, dagli studi effettuati è emersa una distribuzione niente affatto uniforme del culto delle maggiori divinità del pantheon nordico che appare concentrato in determinate aree rispetto che ad altre, suggerendo che il politeismo scandinavo non è un sistema religioso definito e strutturato, piuttosto un insieme di credenze e di culti collegati a divinità la cui natura va ricondotta a diverse origini, rispondendo ai bisogni di altrettanto diverse comunità.
La tradizione religiosa dei popoli nordici affondava le proprie radici nel neolitico, fino a consolidarsi nell’età del bronzo prima e del ferro poi. I cambiamenti radicali nella cultura religiosa hanno accompagnato il passaggio avvenuto nel corso dei secoli, da una comunità la cui economia di sussistenza era basata sulla caccia e sulla raccolta ad una società organizzata il cui sostentamento proveniva dalle attività di allevamento e di agricoltura, con il conseguente rapporto con le divinità del pantheon norreno.
Alcune testimonianze del paganesimo nordico sono state riportate nelle opere di Tacito, già secoli prima dell’epoca vichinga, tanto da pensare che alcuni elementi della antica religione nordica trovino riscontro nel misticismo vichingo.
La religione pagana delle popolazioni scandinave risalente all’epoca vichinga, pertanto, può essere considerata il risultato di un processo di maturazione sviluppatosi nelle epoche precedenti, tanto che le divinità iniziano a delinearsi secondo più precise rappresentazioni iconografiche, con i debiti riscontri nelle opere storiografiche successive. Così come avviene per le pietre di Gotland, risalenti all’VIII e IX Secolo, le quali anticipano le rappresentazioni mitologiche che sono state riprodotte nei testi scritti, nei secoli successivi.
Anche dalle isole britanniche provengono importanti raffigurazioni con inequivocabili riferimenti alla religione degli “uomini del nord” e al loro patrimonio di tradizioni.
Tuttavia, è un dato di fatto che la ricostruzione della religione pagana dei popoli norreni deriva prevalentemente dai testi scritti in epoca cristiana e nei quali l’aspetto letterario riveste un’importanza tale da non garantire un corretto confronto tra i contenuti in essi riportati e quanto può essere dedotto, invece, dagli esami dei reperti archeologici e iconografici.
A tal proposito, dagli studi effettuati è emersa una distribuzione niente affatto uniforme del culto delle maggiori divinità del pantheon nordico che appare concentrato in determinate aree rispetto che ad altre, suggerendo che il politeismo scandinavo non è un sistema religioso definito e strutturato, piuttosto un insieme di credenze e di culti collegati a divinità la cui natura va ricondotta a diverse origini, rispondendo ai bisogni di altrettanto diverse comunità.
Bibliografia
Gianna Chiesa Isnardi, Storia e cultura della Scandinavia, Ed. Bompiani, 2015