21 Settembre 2023
Punk, che significa?
Nell’Inghilterra di Shakespeare il vocabolo veniva usato come sinonimo di prostituta. In America, nei film polizieschi anni ’60 e ’70, il significato si allarga: il punk è un delinquente, un teppistello.
Il primo ad abbinarlo al rock è Ed Sanders, leader dei Fugs, che nel 1970 definisce “punk rock” un suo album. Sul mensile Creem sia Lester Bangs, sia Alan Vega lo utilizzano sporadicamente anche se è Dave Marsh, nel 1971, il primo critico a marchiare con “punk rock” la musica di una band da lui recensita proprio su Creem.
Dal 1975 in poi, con la nascente scena del CBGB e l’affermazione della fanzine “Punk” ideata da Legs McNeil, John Holmstrom e Ged Dunn, il termine assume i contorni più comunemente conosciuti.

I diversi siamo noi, Disco vs Punk
Un fenomeno come la disco music – nato in sordina, in locali fumosi e poco raccomandabili – coesisteva con un’altra tendenza underground come il punk, che faceva del binomio trasgressione e ribellione al sistema, la sua bandiera.
Lontani anni luce musicalmente, ma entrambi politicamente scorretti, disco e punk avevano come templi due leggendari club a New York, rispettivamente lo Studio 54 e il CBGB. Essi rappresentavano i due manifesti dell’apologia della diversità sviluppata in modo diametralmente opposto e con un’evoluzione artistica antitetica.
Il punk di New York Dolls e Ramones sbarcherà in Gran Bretagna dove, grazie ai Sex Pistols e ai Clash, troverà un terreno più fertile.
La Disco, invece, da movimento inizialmente underground diventerà nel giro di pochi anni un carismatico e potente fenomeno di massa, attirandosi negatività e critiche non solo dal popolo del rock bianco e conservatore, ma anche dai fan del punk i quali, tralasciando l’origine comune di emarginazione sociale, ne diventano acerrimi nemici, fomentati dalla stampa.

To disco or not to disco?
Al The One Show della BBC, nel 2013, quando il presentatore dice ai Blondie che secondo lui Heart Of Glass non era disco, Chris Stein, chitarrista e songwriter della band, risponde: “Noi veramente pensavamo di assomigliare ai Kraftwerk”. La diatriba aveva origini antiche: agli esordi underground. I colleghi di palco della band, che condividevano con il gruppo newyorkese lo spotlight del club punk rock/new wave CBGB, rimasero scioccati quando sentirono la canzone alla radio. “Alcuni erano offesi e io ero sorpresa”, afferma la cantante Debbie Harry “perché non ritenevo che Heart Of Glass fosse così diversa dal resto del nostro repertorio”.
Dall’esordio nel 1975, identificati come una grezza band punk/new wave avvezza ai localini più modesti, appena tre anni dopo i Blondie si trovano al centro del glamour, assidui frequentatori dello Studio 54 e spalla a spalla con Andy Warhol. C’era di che gridare al tradimento. Eppure continua la Harry “Heart Of Glass narra la vicenda di un adolescente che si droga sniffando il gas da accendino, cosa che capita molto di frequente nei quartieri poveri di New York”.
Il brano aprì loro le porte alla collaborazione con Moroder per il tema della colonna sonora di American Gigolò del 1980: Call Me ancora più dancefloor del precedente.

SEX, il negozio dove è nato il punk
Nel 1971, sul retro del Paradise Garage, boutique al 430 di King’s Road, Malcom McLaren e un suo compagno d’accademia mettono in piedi una bancarella in cui smerciano oggetti per collezionisti di rock ‘n’ roll: vinili, magliette e poster. L’idea funziona, e il Paradise Garage diviene il negozio Let It Rock, ma sarà il viaggio negli States nel 1973 a cambiare le regole del gioco.
Nel 1973 Malcom McLaren e la sua socia e creatrice di abiti Vivienne Westwood si presentano a New York per l’esposizione dei loro capi di abbigliamento presso la National Boutique. Durante la permanenza in città entrano in contatto con i New York Dolls e la scena artistica della città, tra cui Patti Smith e Andy Warhol.
Mc Laren resta da subito infatuato dallo sitle dei New York Dolls, completamente opposto a quello retrò del Let It Rock (che già nel 1973 aveva cambiato nome in Too Fast To Live, Too Young To Die) e insieme alla Westwood ripensano la loro boutique che nel 1974 assumerà il definitivo nome Sex, caratterizzata da un’insegna in polistirolo, rosa shocking.
Qui nascono la moda punk e quelle magliette strappate, tenute insieme da spille da balia, che sfidano tabù e pregiudizi. Il negozio diventa il quartier generale dei Sex Pistols, il cui nome, secondo McLaren, aveva lo scopo di promuovere il negozio stesso.

100 Club Punk Special
Il 20 e 21 settembre 1976 il locale al 100 di Oxford Street, uno dei templi del jazz nel Regno Unito, si trasforma: il promoter Ron Watts, spalleggiato da Malcom McLaren, s’inventa il “100 Club Punk Special”, primo festival punk della storia. Quattro band a sera, il giorno 20 Subway Sect, Siouxsie and the Banshees (al loro debuttto assoluto), The Clash e Sex Pistols; il giorno 21 Stinky Toys, The Vibrators, Damned e Buzzcocks.
Sid Vicious, durante la performance di Siouxsie, lancia dal palco un bicchiere che si infrange su un pilastro del locale, una scheggia colpisce e acceca l’occhio di una ragazza del pubblico.

Un salto nel passato
E’ il 1977 quando durante il programma televisivo Odeon, tutto quanto fa spettacolo, viene mandato in onda un servizio che racconta il nuovo trend proveniente da Londra: il punk viene sdoganato anche in Italia.
La prima città in cui si è generata una sorta di micro-scena locale è stata Milano, città che ha dato i natali a band storiche come Gags, Mittageisen, Kandeggina, Faust’O (anche se originario di Pordenone) ma soprattutto i Decibel di Enrico Ruggeri che, dopo un paio di dischi con i suoi compagni, ha proseguito la carriera solita, inizialmente orientata verso le sonorità new wave dell’epoca, maggiormente contaminate dall’elettronica.
Un’altra band tra le più rappresentative della new wave italiana sono stati i Krisma, della coppia Maurizio Arceri, già famoso come cantante dei New Dada durante la stagione del beat degli anni Sessanta, e Christina Moser.
Da Milano la new wave italiana si è successivamente allargata a tante altre realtà locali che hanno visto nascere numerose band, anche se spesso sono rimaste confinate in una dimensione underground come i Dirty Actions di Genova, gli Elektroshock di Roma, i Rats della provincia di Modena, i Great Complotto di Pordenone, i Gaznevada di Bologna, i Neon di Firenze, gli Undergorund Life di Monza...
Durante gli anni Ottanta, sulla scia di quanto accade nella madrepatria Inghilterra, anche in Italia la scena punk delle origini si apre alle nuove sonorità cedendo il passo alle sperimentazioni della new wave e alle contaminazioni del postpunk, creando un sottobosco ricchissimo di band con stili molto variegati.
Le sonorità si fanno più ricercate, a tratti più sofisticate e tra i nuovi artisti che si affacciano sul mercato musicale, spiccano Garbo, il cui stile decadente rimanda agli inglesi Ultravox e Japan, i piacentini Not Moving e Atrox, in equilibrio tra rock n’ roll e punk i primi, più inclini alle sperimentazioni i secondi, e tra i nomi ancora in attività, i Diaframma, più vicini alle sonorità postpunk della scena di Manchester, soprattutto con i primi tre dischi, realizzati con Miro Sassolini alla voce.
Nel 2009 è stato realizzato il documentario Crollo Nervoso, La new wave italiana degli anni 80, che attraverso filmati inediti e interviste ai protagonisti dell’epoca, ripercorre le storie e le avventure musicali che hanno fatto la storia dell’underground italiano degli anni Ottanta. Il documentario è stato suddiviso in tre parti: le prime due Onde Emiliane e Firenze Sogna, dedicate ai contesti locali come si può facilmente dedurre dai titoli, mentre la terza parte Italia Wiva è un approfondimento della scena italiana più in generale.
Oltre alle band citate precedentemente, il documentario riporta alla memoria numerose band storiche che sono state vere e proprie icone della new wave di quegli anni come Litfiba, Kirlian Camera, Pankow, Neon, Deafear, Limbo, Stupid Set, Central Unit, State Of Art, alcune delle quali attive ancora oggi.

Film e Documentari
Seppur di non facile reperibilità, esistono numerosi filmati, documentari o pellicole vere e proprie che ripercorrono quel che è stata la stagione del punk e della successiva new wave e dell’impatto che hanno avuto non solo in ambito musicale, ma anche nel mondo dell’arte a più ampio raggio.
La prima pellicola che racconta la scena inglese del 1976/77 è stato Punk Rock Movie, documentario che ha aperto una trilogia realizzata da Don Letts, storico dj del Roxy Club, seguita da The Clash: westway to the world, dedicata alla storica band londinese e conclusa con Punk: attitude del 2005, in cui l’attenzione si allarga sulla scena hardcore.
Per quanto riguarda il fenomeno punk delle origini, altri celebri documentari sono The great rock ‘n’ roll swindle e The filth & the fury entrambi di Julien Temple, Punk in London del regista tedesco Wolfgang Buld e ambientato nel contesto amaricano, il reportage di Penelope Spheeris, The decline of western civilization.
Oltre alla musica, anche la grafica e il design sono state discipline artistiche di fondamentale importanza per l’impatto mediatico e pubblicitario del punk e della new wave.
L’immagine più iconica di tutto il movimento, probabilmente, resta quella della Regina Elisabetta utilizzata per il singolo di God Save the Queen, di Jamie Reid, le cui provocazioni in grafica sono continuati con l’immagine della Union Flag strappata, utilizzata per il singolo di Anarchy in the U.K. nonché i manifesti pubblicitari per la promozione del documentario The great rock ‘n’ roll swindle.
Nel 2002 è stato realizzato il film 24 Hour Party People, incentrato sulla scena musicale di Manchester che, a partire da Joy Division e Buzzcocks, nel giro di pochi anni diviene un importante punto di riferimento per il brit rock grazie a band come Charlatans, Happy Mondays, New Order (dalle ceneri proprio dei Joy Division) e Stone Roses.
Impossibile parlare della scena “Madchester” senza accendere un faro su un personaggio chiave come Tony Wilson, cosa che 24 Hour Party People fa puntualmente.
Tony Wilson, già proprietario della Factory Records, ha consolidato il suo ruolo nella scena musicale di Manchester per via della collaborazione con il produttore Martin Hannett e la fondazione del Fac 51 Haçienda, storico locale aperto nel 1982 in un ex magazzino che oltre ad aver rappresentato il club di riferimento per il brit rock il postpunk di quegli anni, si è avvicinato anche alla scena della house music verso la fine degli anni ottanta.

Grafica & Design
Tra gli artisti e grafici più incisivi sono da annoverare sicuramente anche Barney Bubbles (all’anagrafe Colin Fulcher) famoso per le artwork di Hawkind, Elvis Costello o Ian Dury & The Blockheads, Raymond (Gynn) Pettibon famoso per aver disegnato il logo dei Black Flag, una bandiera composta da quattro barre nere, che è divenuta un’altra delle icone più riconoscibili del movimento punk.
Raymond Pettibon, inoltre, è stato il direttore artistico della SST, storica etichetta discografica della scena underground internazionale tra gli anni ottanta e novanta.
Infine, Pushead (all’anagrafe Brian Schroeder) fondatore dell’etichetta discografica Pusmort Records, nochè cantante della band hardcore Septic Death. Autore di artwork a tema horror, è celebre per essere l’autore di copertine di dischi di Misfits e Metallica.

Fotografia
Quella dei fotografi è stata un’altra delle attività parallele alla musica che hanno contribuito in maniera sostanziale all’esplosione del punk della successiva new wave.
Tra gli autori più famosi: Sheila Rock, i cui scatti più famosi risalgono a quando si è trasferita dagli Stati Uniti a Londra; Pennie Smith i cui scatti hanno immortalato artisti come Iggy Pop, Rolling Stones, David Bowie, The Jam e in tempi più recenti Bruce Springsteen, Blur e tanti altri; Ray Stevenson a cui si devono le foto più famose di The Who, Johnny Rotten, Marc Bolan o Vivienne Westwood; Kevin Cummins che ha raccontato la Manchester di Joy Divison, The Fall, Buzzcocks fino agli Smiths e in tempi più recenti Oasis e Stone Roses.

Clubbing e aggregazione
Come tutti i fenomeni giovanili, anche il punk e la new wave sono emersi tramite dinamiche di aggregazione che potessero provenire da veri e propri club e discoteche per la musica dal vivo o da negozi (abbigliamento, dischi, gadget) di riferimento per la generazione di quel periodo.
Negli Stati Uniti, il locale più famoso in tal senso è stato il CBGB di New York, che ha ospitato band come Ramones, Blondie e Patti Smith.
In Gran Bretagna, invece, oltre che in negozi come il Sex di Malcom McLaren e Vivienne Westwood, la scena inglese poteva contare in diversi locali come il Roxy, di Londra, dove hanno suonato Damned, Generation X, Adverts e tanti altri; l’Electric Circus che ospitò i Warsaw (futuri Joy Division), ma soprattutto il Bat-Cave e il Blitz, nomi di punta per la scena darkwave e new romantic.

New Wave, tra sperimentazioni e contaminazioni
Postpunk e new wave, spesso considerati due facce della stessa medaglia, hanno ereditato lo spirito del punk delle origini, ma ne hanno riscritto le coordinate stilistiche, sia per i contenuti di carattere socio-culturale, sia in termini prettamente musicali.
Le nuove sonorità sono disturbanti, a volte inquietanti, le chitarre continuano ad esercitare un ruolo importante nelle strutture dei brani, ma riff e assoli lasciano il posto ai synth, sulla scia della musica elettronica di scuola tedesca.
Agli inizi degli anni 80, il concetto di sperimentazione è il pilastro della new wave e di tutte le sue svariate sfaccettature. Questo nuovo modo di intendere la musica travalica la musica stessa e si allarga alla moda e ad altre forme d’arte che divengono spunto di aggregazione per le nuove generazioni, catalizzando così l’attenzione dei media.
All’inizio degli anni 80 la scena musicale si allarga dal nucleo originario londinese e si fanno strada numerose band provenienti da Liverpool, dove sopravvivono gli echi della psichedelia dei 60’s come nel caso di Echo And The Bunnymen o Teardrop Explodes, da Sheffiled dove sono state le contaminazioni elettroniche di Human League, Cabaret Voltaire e Clock DVA a trovare gli spunti migliori, ma soprattutto da Manchester, dove la scena postpunk gravita attorno alla Factory Rerords di Tony Wilson e Alan Ersasmus.

I quattro robot pionieri del synth pop
Il Munich Sound devo molto al suono robotico dei tedeschi Florian Scheider e Ralf Hutter, fondatori dei Kraftwerk (Centrale Elettrica), nel 1970 a Düsseldorf, la cui elettronica minimalista produce suoni distorti, bombati, sintetici, al limite del diapason. La passione di Schneider per le drum machine lo porta a usarne alcune da lui stesso costruite artigianalmente, ma la parte del leone, a cominciare da Autobahn del 1974, è riservata al Moog, di cui i kraftwerk faranno un ampio impiego per arricchire le loro sperimentazioni ottenute nel 1975 con Radio Activity. Qui, tra transistor, sequencer e suoni telegrafici, spunta per la prima volta la voce umana, in inglese, nella title track.
L’acclamazione internazionale arriva tra il 1977 e 1978, con due album direzionati sempre più verso il synthpop. Il primo, Trans Europe Express, è rappresentato dall’incessante brano traino dedicato alla ora defunta omonima rete ferroviaria europea, dove si possono incontrare da una “Station to Station”, David Bowie e Iggy Pop. Nel secondo, The Man Machine, in una decadente atmosfera mitteleuropea, i quattro musicisti si trasformano definitivamente in automi, sugellando questa loro palingenesi con il brano “The Roborts”, in cui sposano un beat da dancefloor, che diverrà ancora più marcato con il successivo album Computer World. Nel 2017, con il live 3-D The Catalogue, hanno ottenuto un grammy per la categoria “Best dance/electronic album”.

Munich Studioland
“Il Musicland era un luogo segreto e prestigioso, di cui tutti parlavano: il mondo lo acclamava, ma pochi riuscivano a entrarci”. Così il tastierista e compositore Harold Faltermeyer ricorda lo studio di registrazione per eccellenza, dove lui era di casa insieme a Moroder e Bellotte.
Situata nello scantinato dell’Arabella Hotel a Monaco, la leggendaria sala, fondata dallo stesso Moroder, era un approdo per musicisti e cantanti che vivevano in Germania, ma provenivano da tutte le parti del mondo.
Dal krautrock si era passati all’innovati Munich (Disco) Sound che in un baleno stava facendo il giro del pianeta. Era grazie soprattutto all’enorme eco internazionale ottenuto dalla Summer con Moroder che il Musicland decollò anche tra le rockstar già affermate. Che volavano in Baviera per servirsi dei sofisticati equipaggiamenti degli Studios.
Dismesso agli inizi degli anni 90, il Musicland non era comunque l’unica piattaforma dell’Eurodisco. La città di Monaco pullulava di studi dove registravano, spesso in alternanza con il Musicland, artisti come Boney M, Ronnie Jones, La Bionda e tanti altri.

Pericolosi razzi alieni invadono l’Italia
Quando la Rai trasmette il Pesaro Summer Show 1977 – prima volta in cui i cinque giovanotti colorati d’argento si esibiscono in Italia – la Rocketsmania sta per esplodere.
Il definitivo lancio della band francese (che canta in inglese) arriva pochi mesi dopo, con il live al Teatro Lirico di Milano, ma le controversie non mancano.
In pieni anni di piombo, l’electro-disco robotica dei Rockets diventa bersaglio del movimento di contestazione giovanile che, contro il pagamento dei biglietti per vedere i concerti dal vivo, irrompe spesso con il lancio di oggetti di ogni tipo sul palco, mandando all’aria gli spettacoli, come accadde al Palazzetto dello Sport di Roma, nel novembre 1978.
Eppure, irrefrenabile, la giovane band d’oltralpe è di frequente tra i protagonisti della nostra TV di Stato.
Ospiti fissi della trasmissione Stryx, durante l’autunno 1978, nella veste di “Cosmodiavoli”, i Rocket nell’aprile del 1979, presentarono a Discoring il brano Electric Delight. Sempre nella prima del 1979, presso la discoteca Altro Mondo di Riccione, a causa delle loro coreografie pirotecniche ci furono alcuni feriti e la stampa non esitò a criticare la band per le loro performance ritenute pericolose.
L’attrazione per il “pericolo” e per l’elettronica da dancefloor non farà fermare i fan italiani tanto che, dopo l’esibizione nell’Arena di Verona per la XVI edizione del Festivalbar, nel 1980 vincono il Telegatto come “Migliore artista straniero”.

Musica e impegno sociale
Fin dalle sue origini, la musica rock ha sempre interpretato il duplice ruolo da un lato puro intrattenimento e dall’altro espressione di una controcultura impegnata sul fronte di tematiche delicate e da risvolti sociali che spesso hanno trasceso in ideologie politiche.
A differenza del passato, gli anni 80 sono stati l’epoca in cui vengono messe da parte le rivoluzioni utopistiche e si passa ad azioni concrete, tramite raccolte fondi e iniziative di benedicenza.
Già nel 1982, Peter Gabriel aveva promosso l’iniziativa del festival World Of Music, Art and Dance per il Terzo Mondo, ma uno degli episodi più importanti in assoluto, in cui si è espresso al meglio l’impegno sociale nel mondo della musica, è stato il Live Aid del 13 luglio 1985.
L’evento è stato realizzato in contemporanea tra gli Stati Uniti e la Gran Bretagna e sui rispettivi palchi dallo Stadio Wembley di Londra e dal JFK di Philadelphia, si sono alternati i nomi più illustri del rock e del pop. L’evento ha avuto un impatto mediatico straordinario ed è stato seguito in diretta tv da oltre un miliardo di persone, consacrando la tv come il più popolare strumento di comunicazione anche per la musica.
Proprio a scopo di beneficenza, nel 1984 è stato realizzato il brano Do they know it’s Christmas accreditato alla Band Aid, nel Regno Unito e nel 1985 è stata la volta di We are the world accreditato al supergruppo Usa for Africa, negli Stati Uniti. Entrambi realizzati, anche in questo caso, con la partecipazione di numerosi big e artisti della scena musicale del momento.


Killed by Death
Nel 1989 viene pubblica una compilation destinata a diventare un classico immancabile per ogni appassionato di punk, Killed by Death: rare punk 1977 – 1982, pubblicata dalla Redrum Records, offre la possibilità di procurarsi brani precedentemente usciti su 45 giri, altrimenti introvabili.
Il merito della compilation è quello di scandagliare in maniera competente un sottobosco che si è rivelato un pozzo senza fondo o quasi, recuperando alcuni pezzi punk che in alcuni casi nulla hanno da invidiare a quelli più famosi e blasonati.
Focalizzandosi quasi sempre in un arco temporale ben preciso, il sound è riconducibile al punk rock più classico, ma non mancano piacevoli sorprese soprattutto nei primi numeri della serie.

Ramones Museum
Il Ramones Museum in Oberbaumstrasse 5, nel quartiere di Kreuzberg a Berlino, è stato fondato da Flo Hayler, un collezionista del band newyorkese.
Il museo ospita la sua personale collezione di memorabilia del quartetto, oltre a decine di altri pezzi recuperati nel corso degli anni più recenti o donati da altri appassionati.
Da quando ha aperti i battenti nel 2005, il museo accoglie quotidianamente decine di visitatori, offrendo la possibilità di visitare stanze piene di fotografie, oggetti di scena, dischi, vestiti originali, autografi, poster, locandine e tutto quanto ruoti attorno alla band, divenendo nel tempo una meta per tutti gli amanti del punk e non solo.

Grunge, quando la musica va oltre una semplice etichetta
Il termine Grunge deriva da uno slang americano, grungy, per indicare sporco, sudicio.
Seppur non ci siano fonti certe, si attribuisce la paternità del termina a Mark Arm, vocalist dei Green River, la band dal cui scioglimento nacquero i Mudhoney (ancora Mark arm come frontman) e i Mother Love Bone che a loro volta lasceranno il posto ai Pearl Jam, a seguito della prematura scomparsa del loro cantante Andrew Wood, nel 1990.
Si dice che Mark arm abbia usato il termine grunge in una lettera inviata ad una fanzine di Seattle, per descrivere la band in cui militava nei primi anni 80.
In temini più marcatamente commerciali, il termine Grunge troverà una nuova connotazione soprattutto agli inizi del decennio successivo, per indicare un “non-genere musicale” a cavallo tra hard rock, punk e metal.

Singles, l’amore è un gioco
Una divertente commedia uscita nel 1992, del regista Cameron Crowe, che vede protagonisti Bridget Fonda e Matt Dillon.
Il film fotografa la realtà locale di Seattle, proprio negli anni d’oro del grunge e vede alcuni cameo di Chris Cornell e la partecipazione di alcuni membri dei Pearl Jam, nei panni della rock band Citizen Dick. La vera chicca per gli appassionati del genere è l’esibizione degli Alice in Chains in un club della città (probabilmente il Rckndy o l’Ok Hotel) durante la quale intrattengono il pubblico con Would? e It Ain’t Like That, quest’ultima presente sono nella rimasterizzazione in blu ray del film, mentre è stata tagliata nella versione dvd.

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
• Andrea Angeli Bufalini e Giovanni Savastano, La storia della Disco Music, Ed. Hoepli, 2022
• Roberto Caselli, La storia del Blues, Ed. Hoepli, 2022
• Ezio Guaitamacchi, La storia del Rock, Ed. Hoepli, 2020
• Daniele Follero e Luca Masperone, La storia di Hard Rock & Heavy Metal, Ed. Hoepli, 2021
• Roberto Caselli e Stefano Gilardino, La storia del Rock in Itala, Ed. Hoepli, 2023
• Stefano Gilardino, La Storia del Punk, Ed. Hoepli, 2021

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